Cupola e coro sono stati affrescati dal Bargellini nel 1930. Possiede una “Madonna con bambino in trono fra S.Apollonia e Santa Lucia” attribuita a Marco Vecellio.
Edificata a metà dell’800 è espressione di aspetti sociali, politici e religiosi della comunità. L’importante sviluppo demografico, la contemporanea presenza in chiesa di tutta la popolazione per la “Messa granda” e gli altri riti, sono esigenze cui rispose il progetto dell’ingegnere Francesco Sandi.
L’edificio precedente, eretto in forme gotiche intorno al 1463 e allungato nel 1628 era ormai del tutto insufficiente, ed insufficiente fu giudicato nel 1845 anche il progetto di completa ristrutturazione della navata elaborato nel 1836 dall’ingegnere bellunese Giovanni Bosio.
Per la morte del Sandi, i lavori di costruzione (1861 – 1867) della nuova chiesa da lui progettata furono seguiti dall’architetto feltrino Giuseppe Segusini, il cui intervento più significativo fu l’arretramento di 30 metri dell’edificio verso il Piave, che conferì allo zoccolo del lato meridionale il caratteristico aspetto di poderoso ed austero fortilizio con suggestioni di architettura civile neoclassica: scarpa in pietra squadrata, piccole aperture a lunetta, porta con stipiti rastremati. Altri elementi cari al Segusini si concentrano nel registro superiore interno risolto con una maestosa volta a padiglione innestata sul cornicione, illuminata da lunettoni termali e segnata dal ritmico raccordo delle unghie. Il tema della volta ritorna nella copertura a vela del coro impostata su quattro colonne angolari, quasi un gonfio velario che introduce all’altare maggiore. Acquista così grande rilevanza la parte superiore della chiesa come fattore di definizione dello spazio e di luminosità uniforme e nitida, con superfici tese prive di decorazione.
L’impianto del Sandi rimase invece invariato nella navata con pareti caratterizzate da coppie di lisce colonne con capitello composito che separano tre nicchie poco profonde. Anche la facciata a tempio greco con semicolonne molto aggettanti porta la sua firma. A fronte della grandiosità, la decorazione delicata ed elegante dei gessi risulta rarefatta e puntiforme, mentre la luce è captata dal gioco grumoso dei capitelli e da quello più regolare delle mensole del cornicione semplificato percorso da scanalature verticali.
Dai documenti si evince che i lavori di costruzione esaurirono le casse della fabbriceria della chiesa e che a lungo rimase gravata di debiti e di un contenzioso con l’impresa. Per questo motivo fu necessario rinviare a tempi migliori la decorazione: questa infatti fu completata solo nell’imminenza della consacrazione avvenuta nel 1933.
Tra gli arredi da segnalare gli altari dedicati a due santi guerrieri del Medio Evo. A sinistra quello ligneo acquistato a Legnano, contenente l’effigie di S. Liberale (una curiosa statua abbigliata con tessuti e acquistata a Lecce nel 1905) esempio dell’artigianato popolare); a destra, quello marmoreo intitolato a S. Giorgio raffigurato nel paliotto secondo l’iconografia tradizionale nell’atto di uccidere il drago. Il rilievo è parte di un ricco medaglione. Questo raffinato lavoro del XVIII secolo era l’altare maggiore dell’antica parrocchiale, il cui tabernacolo è ora collocato sul fonte battesimale.
La pala, datata 1591, attribuita a Marco Vecellio (1545 – 1611) si caratterizza per la semplicità della composizione di scuola veneziana: un’esedra accoglie la Madonna assisa su un trono a gradoni, su ciu siede un angioletto dall’espressione computa; ai lati, le sante Apollonia e Lucia recanti i simboli del loro martirio.
Degno di nota è anche il Crocifisso di legno dipinto, il cui modellato rigido, ma vigoroso e ricco di phatos, soprattutto nel volto con occhi in fessura e zigomi tumefatti, rinvia al gusto nordico asciutto e scabro.
Interessanti anche le altre statue in legno laccato (XVIII secolo) prive di contesto e poco valorizzate dall’attuale collocazione, che ne falsa le proporzioni e limita l’apprezzamento di panneggi e dettagli che, pur nella varietà degli esiti, rivelano la maestria degli intagliatori.
La chiesa è dotata di un prestigioso organo, costruito nel 1854 per la parrocchiale Madonna dei Monti di Roma dal celebre maestro organaro Francesco Tessicini. Acquistato alla fine del secolo scorso, fu collocato nell’elegante cantoria realizzata nel 1895 da una ditta cortinese. Nel 1980 fu oggetto di restauro dopo che una vandalica manomissione lo aveva reso per alcuni anni inservibile.
Nel 1944 il Sovrintendente ai monumenti medievali e moderni del Veneto Orientale autorizzò l’abbattimento del ‘vecchio’ campanile del XV secolo, ormai considerato dalla popolazione riserva di sassi da costruzione, come del resto avvenuto per l’antica chiesa, i cui materiali furono utilizzati per erigere il cinematografo. D’altro canto le cose erano state condotte in modo che la demolizione fosse scelta obbligata: nel 1924 erano pronte 4 campane, realizzate dalla storica fonderia Colbacchini di Bassano, troppo grandi per la torre quattrocentesca; dal 1931 esisteva un nuovo campanile progettato dagli architetti veneziani Giuseppe Berti e S. Lorenzetti in funzione della mole e delle forme della chiesa ottocentesca; da circa 15 anni Domegge viveva l’anomalia di due torri campanarie.ll campanile si erge su uno zoccolo rastremato in pietra di Castellavazzo lavorata a bugnato che sostiene una canna percorsa da strutture di rinforzo: pilastri angolari e larghe lesene. L’orologio della ‘primaria fabbrica orologi da torre’ Fratelli Frassoni di Rovato, ne conclude la corsa verticale.
Quattro arconi ornati di timpano spezzato curvilineo e chiusi da balaustre formano la cella campanarie e sorreggono una lanterna ottagonale coronata da cuspide a bulbi. Di fronte si apre la Piazza dei Martiri, in ricordo di un partigiano e sei civili uccisi dalle truppe tedesche l’11 novembre 1944, cui convergono cinque strade e sulla quale si affacciano vari edifici tra i quali la Casa Canonica.